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giovedì 22 luglio 2010
Stella 188
Si chiamava Stella 188 ed era la sua preferita, la più bella.
Non che ne avesse altre, ad avere una stella si è già abbastanza fortunati.. ma era comunque la sua preferita e lo sarebbe stata anche se ne avesse avute mille. Certo, era un nome del tutto inusuale per una stella; ma in fondo, quale non lo è? Non si dovrebbero dar nomi alle stelle, anzi, non si dovrebbero dar nomi a un bel po' di cose a pensarci bene: quando ci passerà questa mania di dar nomi a tutto, e la smetteremo di usare così tante parole, forse che ci verrà più facile comunicare con quello che resta, lasciandole perdere, tutte quelle parole. Forse che ci verrà più facile parlare con gli occhi, magari con un sorriso, e chissà, forse che ci verrà più facile persino parlare col cuore.
Comunque sia, quello era il suo nome e nessuno poteva farci niente: Stella 188.
Avrà avuto i suoi buoni motivi a chiamarla così.
Però.. c'era quel 'però'. C'è sempre qualche 'però' da qualche parte. Nascosto magari, o tardivo, ma state tranquilli che qualsiasi discorso vi affrettiate a concludere, almeno un 'però' ve lo ritrovate davanti. Parole. Chissà se in quell'altro modo di parlare, in un discorso con sorrisi e sguardi, anche li escono i 'però'. Chissà. Certo è che se si sta parlando col cuore proprio in quel caso si può star tranquilli, che di 'però' non se ne incontrano, quando si parla col cuore. Escono i 'forse', quelli si, e qualche 'perché' si trova a spuntare di tanto in tanto.. ma di 'però' neanche l'ombra.
E allora cos'era quel 'però' che aveva innanzi? Cos'era quella strana sensazione, quasi come stesse scivolando via da se stesso, lontano, che fermandosi un attimo e mettendo bene a fuoco riusciva a vedere la sua vita dall'esterno, spettatore e protagonista insieme.
Il fatto è che lo sapeva benissimo cos'era, quella sensazione. Non sapeva perché stesse accadendo, ma quello è un altro discorso. È così difficile a volte venire a capo di alcune situazioni così intricate, che, con una dose d'arroganza tale da farci credere di poter rispondere, andarsi a chiedere pure il perché equivarrebbe a non vivere.
Ma lasciamoli perdere i 'perché', concentriamoci sui 'però'. Su quel 'però'.
Era un 'però' di quelli bastardi questo. Di quelli su cui potresti distenderci il cervello settimane intere, e ritirandolo su scoprire che è rimasto del tutto intatto: 'però'.
Tale e quale a com'era prima.
Cosa poteva fare, quello, proprio non lo sapeva. D'altronde non ci sono così tante cose da fare quando ti accorgi che la tua stella, la tua preferita (anche se hai solo quella), la Stella 188.. beh, quando ti accorgi che la sua luce va affievolendosi?
È un bel casino, sapete?
Non stiamo mica parlando di una lampada, sai com'è, uno invece che affezionarsi a una stella si affeziona ad una lampada. Può capitare. Poi un bel giorno la luce si fa più fioca, e allora basta cambiare la lampadina ed è tutto ok, tutto sistemato.
La luce di una stella è una luce diversa. È la vita stessa, della stella.
E in quel momento la vita della 'sua' stella stava diminuendo. Ma attenzione. Ciò non vuol dire che stava diminuendo il valore che noi, nella frase precedente, attribuiamo al termine 'vita', a diminuire è il valore di 'sua'. La luce di Stella 188, di per sé, era sempre quella. Ma era ai suoi occhi che perdeva luminosità. La 'sua' stella si stava allontanando da lui.
Ma cosa mai poteva fare lui, di fronte la sua stella che sempre più andava perdendo la sua luce? Era una situazione che oltre ad addolorarlo lo irritava: aver la consapevolezza (e la voglia) di poter fare qualunque cosa e non poter far nulla. Ditemi voi se non vi avrebbe preso il nervoso. Purtroppo il centro di tutto sta nel fatto che la luminosità della stella non dipendeva affatto da lui, bensì da lei, Stella 188. A lui al massimo restava la scelta di accettare il buio che sarebbe seguito, il buio che gli avrebbe tenuto compagnia per tutto il tempo in cui avrebbe cercato di ritrovare la 'sua' stella, oppure, in alternativa, ripararsi alla luce di altre stelle.
[Buio e luce. Buio e altre. Buio.]
L'avrebbe persa, lo sapeva. Ormai ne era certo. Stava affievolendosi sempre di più, e avrebbe continuato a farlo fino a spegnersi del tutto. Meglio: fino ad accendersi di buio. Un buio accecante. E cosa avrebbe fatto lui, ormai solo, in quel buio? Si certo, capisco che ai vostri occhi appare la soluzione più scontata, ma pensate davvero che lui avrebbe aspettato che passasse di li un'altra stella, a illuminarlo, e si sarebbe accontentato del suo bagliore che, per quanto intenso, mai lo avrebbe colpito come aveva fatto la Stella 188?
E già quel chiarore soffuso che ancora persisteva era causa di dolore, paragonato alla viva lucentezza con cui Stella 188 aveva precedentemente brillato. Giunto il buio come avrebbe fatto a sopportare il dolore? Ma certo che non lo avrebbe fatto. Certo che non si sarebbe accontentato di un altro bagliore.
Che poi voglio dire, con tutto rispetto, di stelle ce n'erano, e certamente avrebbe potuto trovarne di più grandi e luminose. Solo non sarebbero state Stella 188.. chiaro.
Il fatto è che spesso, in attimi di buio intenso, quando pensiamo che l'unica cosa che può salvarci è la luce, il più possibile, luce, ci rendiamo conto che di tutta questa luce alla fine non ce ne facciamo niente, se non è nostra. Perché acceca più il buio che la luce a volte. E a volte è meglio scegliere il buio alla ricerca della nostra luce, che non tutta la luce dell'universo meno quella che stiamo cercando.